martedì 18 ottobre 2011

SAGGAR FIRING "la tecnica"









La parola saggar deriva dall’unione di due parole di lingua inglese : “ Safe- guard” e stanno a identificare il contenitore, muffola che si utilizza all’interno del forno per cuocere questa particolarissima ceramica.
Molte sono le tipologie di contenitori possibili, nel nostro caso andremmo a ricreare questa muffola su ogni singolo pezzo tramite l’utilizzo di fogli di alluminio e/o lastre sottili di argilla.
Il forno che verrà utilizzato per queste cotture sarà un normalissimo forno raku, meglio se in fibra ceramica.
Si possono utilizzare tutti i tipi di argilla con un minimo di resistenza allo shock termico, preferibilmente dei grès bianchi contenenti una chamotte compresa tra 0,02 e 0,5. Danno buoni risultati anche argille da pirofila ferrose .
Un manufatto destinato a questa tecnica deve avere delle precise caratteristiche, molto simili agli oggetti in raku dolce e naked raku:
una precisa steccatura della superficie
un trattamento a crudo con terre sigillate
una biscottatura compresa tra i 970 e i 1000 °C
Dopo la biscottatura la fase decorativa è completamente diversa dalle tecniche tradizionali di ceramica.
Materiali organici come foglie, fili di lana, fondi di caffè, canapa, stoppa, segatura, zucchero ci doneranno cromatismi che andranno dai grigi perlacei ai neri profondi.
Il cloruro ferrico costituirà la nostra base colorante, mentre carbonati e sali di cobalto e rame arricchiranno di sfumature policrome il nostro oggetto.

Saggar firing "ultime creazioni"






lunedì 17 ottobre 2011

RAKU DOLCE


Per circa un centinaio d’anni, a cavallo tra il 1°sec. a. C. e il 2° d.C., fiorì nel mondo romano una particolare produzione ceramica, sicuramente la più interessante, denominata “Terra sigillata aretina”. Il termine terra sigillata si riferisce ad un tipo di ceramica da mensa caratterizzata da inconfondibili prerogative: l’argilla, assai depurata e ricoperta da una bellissima “vernice”corallo.

La superficie spesso decorata a rilievo con rappresentazioni di grande maestria artigiana e la presenza di cartigli con i nomi degli artefici , detti appunto “Sigilla”.

Il centro maggiore di questa produzione fu Arezzo, dove decine di botteghe realizzarono grandissime quantità di manufatti.

Il termine “Terra sigillata” oggi si usa per definire una ceramica verniciata con ingobbi vetrificanti. Questi particolari rivestimenti si ottengono separando la parte argillosa e più grossolana da quella colloidale.

Generalmente si scelgono argille ferrose molto plastiche ricche di sodio e potassio.

Acqua piovana, sali sodici e argilla sono gli ingredienti per ottenere una terra sigillata:

dopo aver fatto essiccare l’argilla la si sbriciola finemente, in un contenitore possibilmente trasparente scioglieremo circa 5 grammi di calgon in un litro d’acqua, introdurremo l’argilla e dopo una energica mescolata la lasceremo decantare per 8 ore.

Nel nostro miscuglio le particelle più fini si separeranno da quelle grossolane,

Con un tubo andremo a togliere la parte in sospensione che sarà facilmente visibile grazie al contenitore trasparente, il materiale che otterremo sarà un insieme di elementi salini di natura sodica e potassica (fondenti), silicati ed eventuale ossido di ferro.

Una buona terra sigillata deve essere a crudo lucente ceroso.

Il raku dolce è la tecnica dove è evidente la contaminazione della cultura ceramica mediterranea a quella nipponica.

Per questa delicata tecnica si utilizzano prevalentemente argille a pasta bianca non calcarea con granulometrie di chamotte sottilissime oppure assenti.

Le fasi della foggiatura e della rifinitura risultano fondamentali per la buona riuscita del manufatto, infatti oggetti mal rifiniti danno origine a difetti dell’ingobbio vetrificante. Per questo si consiglia di arrotondare i bordi e steccare finemente gli oggetti.

Il primo passaggio di terra sigillata costituirà il fondo per i passaggi successivi e dovrà essere dello stesso tipo di argilla con cui viene foggiato il pezzo è necessario che alla temperatura di cottura risulti microporoso .

Il passaggio successivo prevede l’applicazione di sigillate non vetrificanti, quindi non affumicabili. Se vogliamo una terra sigillata bianca useremo una terraglia, altrimenti per i gialli arancio una comune argilla da maiolica o pirofila.

Ultimata la fase decorativa il manufatto dovrà essere cotto preferibilmente in forno elettrico a 1000°C, con una seconda cottura a circa 600°C in forno raku andremo ad affumicare il manufatto,usando segatura sottile leggermente umida. Le parti di ingobbio microporoso si anneriranno immediatamente e la superficie del nostro oggetto presenterà una texture di cavilli anneriti, dovuti alla “rottura” dello strato sottilissimo di terra sigillata.