domenica 6 luglio 2014

CERAMICA RAKU, LE ORIGINI





Si potrebbe dire che l'origine della ceramica raku provenga dalla creazione di un'unica tazza per la cerimonia del thè. Chòjirò, che rappresentava la prima generazione della famiglia Raku durante il periodo Momoyama (1573– 1615), conobbe il maestro buddista Sen No Rikyu ed iniziò a creare tazze per la cerimonia del thè (chanoyu). Le tazze inizialmente erano chiamate Ima– Yaki, letteralmnte “oggetti di adesso”, oggetti prodotti in un tempo presente. In seguito le tazze furono ribattezzate Yuraku– Jaki cioè “cotto adesso”, solo successivamente furono denominate raku. Il termine raku significa “gioia o quiete”, tale termine adottato poi per la ceramica, divenne anche il nome delle famiglie che di generazione in generazione, si dedicarono alla produzione delle ceramiche raku. Le ciotole cerimoniali sono sempre modellate a mano senza l'ausilio del tornio; questo permette all'artista di entrare nella materia e porsi in intima relazione con l'oggetto. Per essere fedeli alla concezione della nascita della ceramica raku si dovrebbe sempre ricordare che la creatività non deve mai eccedere in un individualismo eccessivo. L'insegnamento di Chòjrò attraverso la sua concezione di negazione del movimento, della decorazione e della forma, ci dona una grande lezione d'arte che va oltre l'espressione dell'ego. Egli elevò la tazza per il thè ad una manifestazione di spiritualità astratta, nella quale tutti potevano entrare. Equilibri delle forme, sublimi espressioni di essenzialità e purezza, questi sono i canoni artistici della ceramica raku .
RAKU IN OCCIDENTE
Il libro Potter’s book scritto dal ceramista inglese Bernard Leach nel 1940, nato in Cina, vissuto per molti anni in Giappone, fa conoscere la ceramica Raku in occidente. Da subito questa tecnica ebbe un buon seguito, infatti diversi ceramisti americani andarono in Giappone a studiare e vedere di persona questo inusuale modo di far ceramica.
Grazie alle esperienze fatte da Warren Gilberston e Paul Soldner, negli anni sessanta in America questa tecnica ebbe un grande sviluppo, scultori e ceramisti tradizionali iniziarono a sperimentare modi di cuocere e raffreddare le loro opere, non essendo legati dalla rigida filosofia zen le superfici policrome presero il posto ai monocromatismi, i bruschi raffreddamenti in materiali organici arricchivano l’opera di craquellè e lustri metallici, è così nata la prima variante,il RAKU“AMERICANO”. Nel 1990 in Inghilterra si concretizza una nuova tecnica dove la materia argilla predomina su smalti e lustri, il NAKED RAKU. In questa variante sono evidenti i riferimenti a tecniche primitive come il Bucchero Etrusco e il Villanoviano, infatti la colorazione è data esclusivamente dal colore dell’argilla usata per foggiare i manufatti e il fumo provocato dai materiali organici usati nel raffreddamento. Il Naked è sicuramente l’ispirazione di un’altra variante, conosciuta come RAKU “DOLCE”. In questa tecnica i riferimenti sono decisamente attribuibili alle ceramiche coralline romano- aretine.

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martedì 18 ottobre 2011

SAGGAR FIRING "la tecnica"









La parola saggar deriva dall’unione di due parole di lingua inglese : “ Safe- guard” e stanno a identificare il contenitore, muffola che si utilizza all’interno del forno per cuocere questa particolarissima ceramica.
Molte sono le tipologie di contenitori possibili, nel nostro caso andremmo a ricreare questa muffola su ogni singolo pezzo tramite l’utilizzo di fogli di alluminio e/o lastre sottili di argilla.
Il forno che verrà utilizzato per queste cotture sarà un normalissimo forno raku, meglio se in fibra ceramica.
Si possono utilizzare tutti i tipi di argilla con un minimo di resistenza allo shock termico, preferibilmente dei grès bianchi contenenti una chamotte compresa tra 0,02 e 0,5. Danno buoni risultati anche argille da pirofila ferrose .
Un manufatto destinato a questa tecnica deve avere delle precise caratteristiche, molto simili agli oggetti in raku dolce e naked raku:
una precisa steccatura della superficie
un trattamento a crudo con terre sigillate
una biscottatura compresa tra i 970 e i 1000 °C
Dopo la biscottatura la fase decorativa è completamente diversa dalle tecniche tradizionali di ceramica.
Materiali organici come foglie, fili di lana, fondi di caffè, canapa, stoppa, segatura, zucchero ci doneranno cromatismi che andranno dai grigi perlacei ai neri profondi.
Il cloruro ferrico costituirà la nostra base colorante, mentre carbonati e sali di cobalto e rame arricchiranno di sfumature policrome il nostro oggetto.

Saggar firing "ultime creazioni"






lunedì 17 ottobre 2011

RAKU DOLCE


Per circa un centinaio d’anni, a cavallo tra il 1°sec. a. C. e il 2° d.C., fiorì nel mondo romano una particolare produzione ceramica, sicuramente la più interessante, denominata “Terra sigillata aretina”. Il termine terra sigillata si riferisce ad un tipo di ceramica da mensa caratterizzata da inconfondibili prerogative: l’argilla, assai depurata e ricoperta da una bellissima “vernice”corallo.

La superficie spesso decorata a rilievo con rappresentazioni di grande maestria artigiana e la presenza di cartigli con i nomi degli artefici , detti appunto “Sigilla”.

Il centro maggiore di questa produzione fu Arezzo, dove decine di botteghe realizzarono grandissime quantità di manufatti.

Il termine “Terra sigillata” oggi si usa per definire una ceramica verniciata con ingobbi vetrificanti. Questi particolari rivestimenti si ottengono separando la parte argillosa e più grossolana da quella colloidale.

Generalmente si scelgono argille ferrose molto plastiche ricche di sodio e potassio.

Acqua piovana, sali sodici e argilla sono gli ingredienti per ottenere una terra sigillata:

dopo aver fatto essiccare l’argilla la si sbriciola finemente, in un contenitore possibilmente trasparente scioglieremo circa 5 grammi di calgon in un litro d’acqua, introdurremo l’argilla e dopo una energica mescolata la lasceremo decantare per 8 ore.

Nel nostro miscuglio le particelle più fini si separeranno da quelle grossolane,

Con un tubo andremo a togliere la parte in sospensione che sarà facilmente visibile grazie al contenitore trasparente, il materiale che otterremo sarà un insieme di elementi salini di natura sodica e potassica (fondenti), silicati ed eventuale ossido di ferro.

Una buona terra sigillata deve essere a crudo lucente ceroso.

Il raku dolce è la tecnica dove è evidente la contaminazione della cultura ceramica mediterranea a quella nipponica.

Per questa delicata tecnica si utilizzano prevalentemente argille a pasta bianca non calcarea con granulometrie di chamotte sottilissime oppure assenti.

Le fasi della foggiatura e della rifinitura risultano fondamentali per la buona riuscita del manufatto, infatti oggetti mal rifiniti danno origine a difetti dell’ingobbio vetrificante. Per questo si consiglia di arrotondare i bordi e steccare finemente gli oggetti.

Il primo passaggio di terra sigillata costituirà il fondo per i passaggi successivi e dovrà essere dello stesso tipo di argilla con cui viene foggiato il pezzo è necessario che alla temperatura di cottura risulti microporoso .

Il passaggio successivo prevede l’applicazione di sigillate non vetrificanti, quindi non affumicabili. Se vogliamo una terra sigillata bianca useremo una terraglia, altrimenti per i gialli arancio una comune argilla da maiolica o pirofila.

Ultimata la fase decorativa il manufatto dovrà essere cotto preferibilmente in forno elettrico a 1000°C, con una seconda cottura a circa 600°C in forno raku andremo ad affumicare il manufatto,usando segatura sottile leggermente umida. Le parti di ingobbio microporoso si anneriranno immediatamente e la superficie del nostro oggetto presenterà una texture di cavilli anneriti, dovuti alla “rottura” dello strato sottilissimo di terra sigillata.